Amare le perdite è possibile?

Il paradosso delle perdite

Nessuno festeggia le perdite. È naturale. Ma nel mondo degli investimenti, le piccole perdite sono il prezzo da pagare per sopravvivere. Chi non le accetta finisce spesso per trasformarle in grandi perdite, quelle da cui poi è quasi impossibile riprendersi.

C’è una legge matematica semplice ma spietata chiamata LEGGE DELLA ROVINA:

  • una perdita del -10% richiede un +11% per tornare a pari
  • una del -30% ne richiede un +43%
  • una del -50% addirittura un +100%,
  • e oltre il -70% si entra nel regno dell’improbabile

La differenza tra chi gestisce bene e chi naufraga sta tutta lì: accettare di perdere poco per non perdere tanto. D’altronde le perdite “pesano” psicologicamente molto più dei guadagni equivalenti.

Secondo gli studi di Daniel Kahneman e Amos Tversky (teoria del prospetto), una perdita viene percepita da 2 a 2,5 volte più intensamente di un guadagno dello stesso importo.

In pratica:

  • perdere 100 euro fa più male che guadagnarne 100;
  • per “compensare” emotivamente una perdita di 100, serve un guadagno di circa 200-250 euro.

Ecco perché gli investitori:

  • tendono a non vendere titoli in perdita (per non “cristallizzare” il dolore),
  • e invece vendono troppo presto quelli in guadagno, per “incassare la soddisfazione”.

Dal punto di vista gestionale, questo significa che:

  • tagliare presto le perdite è fondamentale per sopravvivere nel lungo periodo;
  • ma lasciar correre i guadagni è altrettanto essenziale per compensare la naturale asimmetria emotiva tra perdita e profitto

Il quadrante della sopravvivenza

L’obiettivo non è vincere sempre, ma stare nel quadrante giusto: quello dove le perdite sono piccole, controllate e programmate. Salvaguardare il portafoglio.

E invece quasi tutti gli investitori non accettano di chiudere posizioni con piccole perdite, rischiando così di compromettere cifre ben maggiori.

La psicologia che ci sabota

Il paradosso è che gli investitori fanno spesso l’opposto:

  • vendono i titoli che salgono, per “portare a casa il guadagno”;
  • tengono quelli in perdita, “tanto prima o poi risale”.

E così i portafogli si riempiono di scheletri: titoli bloccati, posizioni dimenticate, investitori che diventano di colpo “cassettisti per forza” che non riescono più a muoversi.

Le banche, in questi casi, rassicurano: «Non si preoccupi, nel lungo periodo il mercato risale sempre».  Così da rimanere sempre investiti e continuare a pagare le fee…

Peccato che, di sicuro, come ricordava Keynes… “nel lungo periodo siamo tutti morti”.

Inoltre non sottovalutiamo il valore psicologico, il male fisico che può derivare da posizioni in rosso. Inizialmente si guarda più volte al giorno il proprio conto per poi arrendersi e sperare nel futuro.

Non voler ammettere di aver commesso un errore di valutazione, o intestardirsi su una posizione solo perché “si è fiduciosi”, è tra gli atteggiamenti più pericolosi. Quando il mercato si gira contro di noi, mantenere la posizione solo per orgoglio o speranza può trasformare una perdita momentanea in una ferita permanente.

Sarebbe meglio dimenticare il prezzo di acquisto, che spesso diventa una trappola mentale. Il suo ricordo genera tormento psicologico, indecisione e mancanza di lucidità proprio nei momenti in cui serve più razionalità.

L’investitore professionale accetta, gestisce, taglia.
Un bravo consulente non promette guadagni senza rischio. Promette invece un metodo: gestire, contenere, prevenire.

Accettare piccole perdite — su singole operazioni, su una fase di mercato, su un ribilanciamento – è come fare manutenzione a un motore: si evitano guasti peggiori e si mantiene la macchina in corsa.

Di nuovo, mantenere un portafoglio sano non è solo una questione finanziaria, ma anche psicologica: significa dormire tranquilli, restare lucidi, mantenere il controllo delle decisioni.

Conclusione

Le grandi perdite non arrivano mai da un giorno all’altro. Sono sempre il risultato di piccole decisioni sbagliate, ripetute nel tempo: non vendere, non ribilanciare, non accettare di avere torto.

La lezione è semplice: chi impara a perdere bene, alla fine vince davvero.

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